Il Metodo APT è frutto di una personale sperimentazione e contaminazione delle esperienze trasversali direttamente vissute da Paolo Benedetti, prima come atleta e poi come danzatore/performer.
In generale il Metodo si basa nell’autorizzare e rieducare nel performer, il recupero funzionale di alcuni processi emotivi/cognitivi che hanno caratterizzato l’apprendimento primordiale del bambino e che per una parte della nostra vita hanno guidato tutti noi: osservare, sbagliare, elaborare.
Nell’esperienza formativa di Benedetti si è spesso evidenziata la difficoltà da parte dell’allievo/performer di gestire emotivamente la frustrazione dell’insuccesso dell’azione, del porsi autonomo all’interno di una richiesta, e dell’accettazione della valutazione, spesso confusa come giudizio limitante e ostruttivo al proprio processo di crescita, e non come un’occasione di confronto e analisi del movimento. Spesso l’urgenza indotta dallo studio tecnico specifico porta a trascurare la necessità di un tempo naturale di apprendimento che in quasi tutti i casi passa attraverso l’errore e l’accettazione di non essere capaci, nell’immediato, di soddisfare la richiesta. E’ da quest’analisi che prendono corpo una serie di protocolli di lavoro che nel loro insieme portano alla nascita del Metodo APT. Nello specifico, partendo dal recupero della parte più istintiva del movimento, che in fase adulta spesso viene a perdersi o a impoverirsi, si dà avvio al processo di studio del movimento, analizzando la sua struttura attraverso i principi della biomeccanica e il recupero del concetto funzionale delle azioni. L’intento è di svestirsi di ogni tecnica per permettere il sincero recupero della percezione dell’azione, allontanandosi dall’approccio cerebrale e razionale, per riappropriarsi dell’autonomia del movimento, fondamenta necessarie sulle quali, in seconda fase, poggiare le competenze tecniche dei vari linguaggi. Parallelamente, attraverso protocolli di lavoro, diretti alla formazione/costruzione della condizione fisica, si cerca di sollecitare lo stato fisico/emotivo del performer, al fine di rinnovare il confronto con i propri limiti, per conoscerli, accettarli e superarli, oltre che migliorare la propria condizione performativa e, di conseguenza, la stima di sé.
A questo si aggiunge l’intento di sviluppare il concetto di Resilienza, capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici sia di natura psichica/emotiva che fisica e sapersi riorganizzare in maniera funzionale dinanzi alla difficoltà, restando sensibili alle opportunità che l’azione offre, senza alienare la propria identità. Come ultima fase, ma non meno importante, subentra l’esplorazione e la gestione dello spazio, attraverso l’alternanza di richieste codificate e libere, costringendo e stimolando il performer al recupero della scelta e la sua gestione, portandolo a riappropriarsi del concetto di autonomia e responsabilità d’azione.
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.